*Il Papa scosso dagli orrori del Congo «Ora basta! Fate tacere le armi»*
_di Gian Guido Vecchi_
Kambale sembra più giovane dei suoi tredici anni, ci mettono un po’ ad abbassargli il microfono, guarda serio davanti a sé e deglutisce, i guerriglieri lo hanno rapito per nove mesi, «perdono i carnefici ma chiedo a Gesù che tocchi il loro cuore perché liberino gli altri bambini rimasti nella boscaglia».
Francesco ha lo sguardo sconvolto prima che dolente, il «Cuore di tenebra» non è solo una pagina della letteratura di fine Ottocento, l’«orrore» di Joseph Conrad non si è concluso con i crimini coloniali del re belga Leopoldo II. Nella nunziatura di Kinshasa, ai piedi di una Croce accanto al Papa, hanno posato un machete, un coltello, uno stuoino, un oggetto per ogni racconto.
Sono quasi tutti ragazzini, Ladislas che ha visto decapitare il padre, Léonie che ha assistito allo sterminio dell’intera famiglia, Emelda che a sedici anni fu rapita con altre donne come schiava sessuale, tre mesi di stupri, «a volte mescolavano le teste delle persone con la carne degli animali, era il nostro cibo quotidiano».
I racconti sono talvolta insostenibili, Francesco ascolta e carezza le cicatrici sui volti, gli arti amputati. E più ancora delle sue parole, la «condanna in nome di Dio» per «gli abomini» ascoltati, «i massacri, gli stupri, la distruzione dei villaggi», la cosa fondamentale è che il Papa sia qui, a risvegliare l’attenzione del mondo sulla sofferenza di popoli altrimenti dimenticati: «Rivolgo un vibrante appello a tutte le persone ed entità, interne ed esterne, che tirano i fili della guerra nella Repubblica Democratica del Congo. Vi arricchite attraverso lo sfruttamento illegale dei beni di questo Paese e il cruento sacrificio di vittime innocenti. Ascoltate il grido del loro sangue, prestate orecchio alla voce di Dio, che vi chiama alla conversione: fate tacere le armi, basta! Basta arricchirsi con risorse e soldi sporchi di sangue!».
Nel primo giorno a Kinshasa, martedì, Bergoglio ha denunciato i frutti del «colonialismo economico» che ha sostituito quello politico: «Giù le mani dall’Africa!». Voleva andare nella parte orientale, la più pericolosa, ma ha dovuto rinunciare. Così ieri ha celebrato una messa in un aeroporto di Kinshasa, più di un milione di fedeli in festa che prima dell’alba riempivano le strade della capitale.
E, nel pomeriggio, ha accolto i sopravvissuti dell’Est. Sta qui la maggior parte delle miniere, oro e diamanti, cobalto e l’80 per cento delle riserve mondiali di coltan, essenziale per le batterie di computer e smartphone: i produttori impiegano per lo più donne e bambini nelle miniere, si scava a mani nude, 12-14 ore al giorno per uno o due dollari. Le violenze di oltre cento gruppi armati, le tensioni con il Ruanda e gli scontri etnici, in un Paese dove le etnie sono più di duecento, tutto questo torna utile. Nella stessa zona, il 22 febbraio 2021, furono uccisi l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, il carabiniere Vittorio Iacovacci e l’autista Mustapha Milambo, che «hanno perso la vita mentre servivano la pace», li ha ricordati il pontefice: «Erano seminatori di speranza e il loro sacrificio non andrà perduto». Migliaia di morti ogni anno, almeno sei milioni dalla prima guerra del 1996. Ma il futuro è qui, in una terra dove l’età media è inferiore ai vent’anni. Francesco chiede ai congolesi di andare oltre il «risentimento» e la «vendetta», in un Paese a maggioranza cristiana chiede di «deporre le armi» perché «non c’è cristianesimo senza comunità», sillaba: «Un avvenire nuovo verrà se l’altro, tutsi o hutu che sia, non sarà più nemico, ma un fratello e una sorella”.
_in “Corriere della Sera” del 2 febbraio 2023_
